Rapporto ISPRA su consumo di suolo: allarme Potenza.

Cemento a PotenzaLa Potenza del cemento continua a perdere terreno, cresce l'indice di dispersione abitativa. 

Potenza, 06 maggio 2015 - L’Italia del 2014 perde ancora terreno a causa del cemento. A mappare lo stivale della “copertura artificiale” è l’ISPRA che, grazie alla cartografia ad altissima risoluzione, nel suo rapporto presentato a Milano utilizza nuovi dati, aggiorna i precedenti e completa il quadro nazionale con quelli di regioni, province e comuni, senza trascurare coste, suolo lungo laghi e fiumi e aree a pericolosità idraulica. 

Quasi il 20% della fascia costiera italiana - oltre 500 Km2 - l’equivalente dell’intera costa sarda, è perso ormai irrimediabilmente. Spazzati via anche 34.000 ettari all’interno di aree protette, il 9% delle zone a pericolosità idraulica e il 5% delle rive di fiumi e laghi. Il cemento è davvero andato oltre invadendo persino il 2% delle zone considerate non consumabili (montagne, aree a pendenza elevata, zone umide).

L’Italia del 2014 perde ancora terreno, anche se più lentamente: le stime portano al 7% la percentuale di suolo direttamente impermeabilizzato (il 158% in più rispetto agli anni ’50) e oltre il 50% il territorio che, anche se non direttamente coinvolto, ne subisce gli impatti devastanti. Rallenta la velocità di consumo, tra il 2008 e il 2013, e viaggia ad una media di 6 - 7 m2 al secondo. Sono le periferie e le aree a bassa densità le zone in cui il consumo è cresciuto più velocemente. Le città continuano ad espandersi disordinatamente (sprawl urbano) esponendole sempre di più al rischio idrogeologico. Esistono province, come Catanzaro e Potenza, dove oltre il 90% del tessuto urbano è a bassa densità. Nella classifica delle regioni “più consumate”, si confermano al primo posto Lombardia e Veneto (intorno al 10%).

Le strade rimangono una delle principali causa di degrado del suolo, rappresentando nel 2013 circa il 40% del totale del territorio consumato (strade in aree agricole il 22,9%, urbane 10,6%, il 6,5% in aree ad alta valenza ambientale).  L’ISPRA ha anche effettuato una prima stima della variazione dello stock di carbonio, dovuta al consumo di suolo. In 5 anni (2008-2013), sono state emesse 5 milioni di tonnellate di carbonio, un rilascio pari allo 0,22% dell’intero stock immagazzinato nel suolo e nella biomassa vegetale nel 2008. Senza considerare gli effetti della dispersione insediativa, che provoca un ulteriore aumento delle emissioni di carbonio (sotto forma di CO2), dovuto all’inevitabile dipendenza dai mezzi di trasporto, in particolare dalle autovetture.

La Basilicata e la città di Potenza 

Anche la Basilicata non è immune da tale fenomeno, sia per l’espansione delle aree urbane, sia per le trasformazioni dell’ambiente rurale, sia per i recenti fenomeni di uso delle terre agricole per la produzione di energia attraverso la realizzazione di impianti fotovoltaici a terra. La Basilicata rientra tra le regioni con maggior tasso di incremento di suolo artificializzato; infatti nonostante sia una regione caratterizzata da un contesto prevalentemente rurale e a bassa densità di popolazione, il consumo di suolo aumenta seguendo un trend coerente con l’andamento nazionale.

Il consumo di suolo effettivo, che non considera cioè quelle aree naturalmente protette dal consumo di suolo, è del 3,10%. Il dato preoccupante riguarda tuttavia l’incremento di consumo di suolo negli anni tra 1989-2008 con un tasso annuo del 2,92% e il conseguente sprawl urbano per il Comune di Potenza. Il consumo di suolo è associato ad una modalità di ampliamento del tessuto urbano che vede la diffusione di insediamenti a bassa densità dal centro urbano verso l’esterno, producendo una forma di semplificazione del paesaggio che perde le sue peculiarità e si banalizza. Lo sprawl, quindi, equivale dell’indice di dispersione urbana che  indica la frammentarietà dei margini urbani. Per il Comune di Potenza tale valore è tra i più alti in Italia, attestandosi circa al 90%: valori crescenti si hanno all’aumentare della distanza dai poli centrali, restituendo valori di picco nelle aree di montagna, ultraperiferiche e con popolazione contenuta al di sotto dei 3.000 abitanti. Tale fenomeno ha come conseguenza diretta l’abbandono dei centri storici alla volta delle periferie generando non poche problematiche, si sono sconvolti gli equilibri ambientali e paesistici dell’area, complicando la gestione delle infrastrutture e dei servizi e rendendo instabili le relazioni tra l’area urbana e le aree periferiche.

 

 

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